Thriller storici e dintorni presenta “Gorgò. La regina di Sparta” di Beatrice Giai Gischia

Non sappiamo quando nacque Gorgo’, sappiamo però dove visse, a Sparta, città della Laconia nel Peloponneso, famosa per avere un’organizzazione sociale che la distingueva dalle altre poleis greche. Guidati dalla costituzione dettata da Licurgo, i suoi abitanti vivevano secondo rigidi schemi tesi a creare dei soldati invincibili. E le donne che la abitarono? Le donne che vissero accanto a questi guerrieri, che li diedero alla luce, sembrano comparire nell’immaginario tramandato da aneddoti, soltanto all’atto di salutare i figli o i mariti destinati a partire per la guerra, porgendo loro lo scudo e pronunciando una frase totalmente scevra, apparentemente, di qualunque sentimento: “Torna con esso o su di esso”.In questo romanzo, proprio una spartana, Gorgò, figlia, moglie e madre di re, dona voce a un coro femminile che introduce il lettore nella storia non solo della città ma di un periodo particolarmente convulso della civiltà greca.

Il periodo in cui visse Gorgo’ fu quello delle guerre persiane, periodo che va dal 499 a.C. al 479 a.C. La battaglia di Maratona aveva chiuso la prima guerra persiana ma, non definitivamente il conflitto e le poleis greche, tra cui Sparta, si trovano ad affrontare una serie di problemi interni.

A Sparta la situazione si complicò perché, vigendo una diarchia, uno dei sovrani in carica, Demarato, fu deposto nel 491 a.C., con la complicità dell’altro sovrano, nonché padre di Gorgo’, Cleomene e sostituito da un cugino. Demarato esiliato, riparò presso la corte di Serse, nuovo sovrano persiano, a Susa, diventando suo consigliere. Cleomene a sua volta fu condannato dai magistrati spartani, gli efori, a subire la stessa sorte e a fuggire in esilio nel 490 a.C. 

Tornato a Sparta, riuscì a ritornare sul trono nel 488 a.C., ma colpito da pazzia, morì suicida, lasciando un unico erede vivente, la figlia Gorgo’.

È quindi una ragazza che ha appena perso il padre, quella che apre le pagine del romanzo. Il dolore che attanaglia l’animo della giovane è cocente e si accompagna alla terribile consapevolezza di non aver compreso il disagio in cui si dibatteva la mente del genitore. Il ricordo delle parole del padre non può lenire il senso di solitudine e di desolazione che le grava addosso come una cappa nel suo agire quotidiano: “Non avere paura della vita, perché essa ci riserva sofferenze ma sono più grandi le gioie, perché queste le ricordiamo in modo più duraturo rispetto ai dolori”.

La ruota della vita tuttavia prosegue inesorabile nei suoi ingranaggi, costringendo Gorgò a prendere atto della sua posizione, perché sarà soltanto attraverso di lei che verrà assicurata la continuità dinastica dei sovrani, quindi suo compito sarà accettare la legge che prevede che sposi un fratello del padre. Essere regina quindi è un privilegio ma anche una maledizione che limita la giovane donna la quale, nonostante la cappa di tristezza, sogna ad occhi aperti un mondo che non è così poi lontano:

”Si diceva infatti che gli Ateniesi stessero costruendo un edificio in marmo di dimensioni enormi su alcune fondazioni calcaree collocate nella parte meridionale della Acropoli”.

Gorgò sogna, ma non si ribella alla sua città, alla sua gente, alle donne che hanno lei come punto di riferimento, la loro regina. La rigida educazione spartana le ha cucito addosso una corazza simile a quella dei suoi concittadini, ma nel silenzio della sua dimora, nell’attesa di conoscere il suo sposo, questa scivola via come una veste, rivelando che, nonostante tutto, i sentimenti possono essere nascosti, ma mai sopiti. La fortuna ,la tyche, cui nessuno può sfuggire, le arriderà destinandole come marito Leonida, ma gli anni cui andrà incontro la coppia sono densi di oscure minacce che provengono ancora dalla Persia e che si concretizzeranno nella seconda spedizione persiana contro la Grecia, dove la battaglia delle Termopili, avvenuta nell’estate del 480 a.C., sconvolgerà l’esistenza di Gorgò, strappandole il marito, destinando lui e i suoi compagni al mito, ma facendo anche calare il sipario sulla esistenza di questa regina. Da questo momento le fonti antiche tacciono per sempre su questa donna, il cui ritratto emerge dalle pagine del romanzo di Beatrice Giai Gischia in tutto il vigore.

Donna di principi, di idee quasi moderne, donna che si interroga sul futuro della propria città esaminandolo con occhi glaciali, chiedendosi che cosa resterà infine di quel rigido apparato in cui gli uomini vengono trasformati in guerrieri. Regina, ma soprattutto donna che s’interroga su che cosa resterà della loro civiltà un domani, qualora i persiani riuscissero ad avere il sopravvento sulle forze elleniche, regalandosi una risposta che riecheggia il nostro sentire :

” Potranno distruggere le nostre case, abbattere e profanare i nostri templi, toglierci la libertà di pensiero e di parola, ma le nostre opere parleranno ancora di noi: i beni materiali possono essere distrutti, cancellati, sepolti sotto le macerie, ma difficilmente si potrà sopprimere un’idea.”

L’autrice è riuscita attraverso le poche notizie e aneddoti pervenuteci dagli scrittori antichi, Erodoto e Plutarco, a ricostruire la vita verosimile di una donna spartana, quelle che potevano essere le sue attività quotidiane sia all’interno della propria dimora sia all’interno della comunità, scandita dai ritmi delle feste religiose. La posizione della donna a Sparta emerge tra figure di fantasia e non, ma tutte credibili: donne abituate a guidare le proprie famiglie facendo le veci dei mariti impegnati sui fronti di guerra, donne sicuramente “emancipate” rispetto alle loro coetanee ateniesi, ma sempre nei limiti dettati dall’epoca, per cui la loro funzione principale rimaneva assicurare figlio alla città.

Come era consuetudine a Sparta, bisognava prima di tutto pensare al futuro della città: assicurare la discendenza era la legge assoluta a cui tutti dovevano piegarsi.”

Donne che l’immaginario collettivo ricollega rapidamente alla cerimonia di consegna dello scudo cui partecipano senza versare una lacrima in pubblico, ma come l’autrice fa dire alla sua Gorgò:

Gli eroi saranno ricordati a lungo nei secoli, come è giusto che sia, ma chi ricorderà il dolore delle donne, dei bambini, degli anziani, degli schiavi costretti a subire le perdite degli uomini più valorosi che Sparta possieda?”.


Questa recensione è curata da  Maria Marques sul blog Thriller storici e dintorni.
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