“Radici lucane” di Patrizia Bianco su La Nuova del Sud

Il giornale potentino La Nuova del Sud ha ospitato la lusinghiera recensione di Armando Lostaglio del romanzo “Radici lucane” di Patrizia Bianco (Santelli editore, 2020).

“Radici lucane” è il racconto del viaggio di Teodora in Lucania e delle vicende di una famiglia patriarcale nell’arco di tre generazioni, a partire dagli anni ’30 del Novecento.

Di seguito riportiamo l’articolo del 17 maggio 2021 di Armando Lostaglio, un sentito ringraziamento a La Nuova del Sud.


RADICI LUCANE, ITINERARIO RIAVVOLTO NEL TEMPO

Patrizia Bianco regala un affresco del tempo trascorso ma non remoto

RIONERO. “Radici lucane” è un itinerario riavvolto nel tempo; avvincente nella sottile missione di coinvolgere il lettore senza utilizzare enfasi eccessive, espedienti metaletterari che talvolta minimizzano la valenza introspettiva. Il viaggio come armonia elegiaca che tuttavia rapisce.

L’autrice potentina, Patrizia Bianco, in questo corposo volume, ci regala l’affresco di un tempo trascorso ma non remoto, vivo in chi si muove sui percorsi annosi di una età spesso inghiottita dall’oblio; e tuttavia, per nulla nostalgica. L’ambiente è Materia, città millenaria che funge da equa dimensione di una lucanità arcaica. Ma il paradigma avvolge anche borghi altri (muovendo da Genova) verso un sud di sofferenze e sottomissione, di migrazioni e ritorni.

Del resto, le donne di Patrizia riescono a riscattare l’ancestrale bellezza di una fecondità mai paga, in un divenire misterioso e quantunque di speranza. L’io narrante è la giovane Teodora, curiosa e volitiva nel carpire i segreti dal cassetto dei dolori e dei rimorsi; e Fortunata, Cettina, Diletta; e gli uomini: Beniamino, Cosimino, Paolo. Patrizia Bianco sa incastonare le tessere di una storia che da personale diventa collettiva. Ogni capitolo porta con se quei nomi. Microstorie di fatica e di rimpianti, amori sospesi e affetti materni inespressi.

Tutto diventa gioia del racconto, sincero quanto armonioso. Geografia dell’anima: nord e sud, ancora una volta in simbiosi ed antagoniste per volere del Fato. Simulacri di un tempo per nulla remoto si affollano come per reclamare una esistenza strappata via troppo in fretta dalle esigenze di una Storia che osserva a distanza quelle anime piccole agitarsi intorno.

“Si vede che il mio destino è veder partire gli altri e restare ad aspettarli tutto il tempo”, sussurra zio Compare, figura emblema di quella dimensione che richiama immagini da “Anni ruggenti”, quel capolavoro che Luigi Zampa ha ambientato proprio a Matera (1962): come in uno scatto di antropologia visiva, risalgono dai gironi danteschi dei Sassi volti segnati dalla sofferenza millenaria, donne e bambini nati già vecchi, tutti ad ambire spazi di luce, un cielo che da grigio prenda forma di nuvole e si squarci in un azzurro profondo; rinascita quale atavica tautologia di esistenza segnate ma non del tutto rassegnate.

“Di una città non apprezzi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà ad una tua domanda.” Lo scriveva Italo Calvino. Patrizia Bianco con le sue pennellate ci suggerisce quesiti: perché il tempo del racconto è come fosse cristallizzato? Perché diventa memoria da narrare? E perché invece questo nostro tempo diventa sfuggente, senza rimedio alcuno, quasi senza richiamo (e ricamo)? Rimane fugace, tuttavia, come sabbia in una mano.

Una risposta è sottesa nella prefazione che Giuseppe Lupo offre al racconto: “C’è perfino l’assenza di movimento, che rende mitologico il vivere degli individui perché li sottrae all’urto del divenire”. Eppure, “le avversità – scriveva Catone – domano e ammaestrano; le cose favorevoli sogliono sviare dal pensare e dal comprendere rettamente”. La giovane Teodora in fondo indicherà proprio questo.

Radici lucane è nelle mani del regista Fulvio Wetzl (“Prima la musica poi le parole”) che ha girato film anche in Basilicata (“Vultour”, “Mineur”) per una possibile trasposizione cinematografica.


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